Silvio Bellino, Torino
L’instabilità emotiva e la vulnerabilità ai disturbi dell’umore che spesso si trovano in comorbilità con i disturbi di personalità, hanno suggerito l’opportunità di prendere in considerazione la psicoterapia interpersonale come trattamento per il disturbo borderline di personalità (DBP). Infatti il DBP si trova spesso in comorbilità con i disturbi dell’umore sui quali la psicoterapia interpersonale ha già ampiamente dimostrato la sua efficacia. Inevitabilmente gli psicoterapeuti che praticano l’IPT si sono trovati spesso, nel corso dei trattamenti iniziati per un disturbo dell’umore, ad incontrare comorbilità di Asse II e tra queste, la più frequente è quella con il disturbo borderline di personalità. I pazienti con disturbo di personalità in comorbilità con i disturbi dell’umore presentano una maggiore gravità dei sintomi depressivi, più sensibili difficoltà nel mantenere l’aderenza alle terapie e una risposta meno favorevole al trattamento impostato per il disturbo dell’umore rispetto ai pazienti che presentano la sola depressione maggiore. Il disturbo borderline di personalità è stato quindi il primo disturbo di Asse II a cui è stata applicata la psicoterapia interpersonale.
La psicoterapia interpersonale del paziente borderline si pone l’obiettivo di rimodellarne l’assetto personologico e migliorare il funzionamento globale, intervenendo su quei fattori di deficit e di conflitto nelle relazioni interpersonali, che trovano espressione in sintomi quali il disturbo dell’identità, i sentimenti cronici di vuoto, le paure abbandoniche e l’instabilità relazionale. L’orientamento dell’IPT è quello di porre l’attenzione al funzionamento e ai problemi nelle relazioni attuali. Interventi quali la confrontazione e la chiarificazione si focalizzano sulle situazioni del “qui e ora”, piuttosto che sulle relazioni precoci del paziente. Poiché l’interpretazione del “qui e ora” propone inevitabilmente dei collegamenti con gli eventi del passato, questa é una forma d’intervento particolarmente utile per aiutare i pazienti ad acquisire consapevolezza della propria tendenza alla reiterazione di modelli di comportamento maladattativo. Inoltre, i terapeuti devono avere una chiara visione delle potenzialità di cambiamento e delle risorse disponibili, mentre aiutano i pazienti a comprendere l’origine della loro sofferenza. Le evidenze cliniche più recenti hanno mostrato che il disturbo borderline di personalità è più suscettibile di trattamento e ha una prognosi più favorevole di quanto si ritenesse in precedenza.
Poiché i pazienti con disturbo borderline possiedono, accanto a gravi alterazioni psicopatologiche, risorse personali e capacità funzionali in grado molto variabile, la flessibilità dell’intervento è un aspetto cruciale da prendere in considerazione per una psicoterapia efficace. E’ importante sottolineare che la scelta di strategie supportive non deve essere fraintesa come se si offrisse semplicemente al paziente una relazione amichevole o un conforto. Gli interventi di supporto hanno nell’IPT una valenza terapeutica e una precisa configurazione tecnica. Il fondamento di una buona psicoterapia risiede anche in un’appropriata gestione degli intensi stati emozionali del paziente e del terapeuta. Consultarsi con altri terapeuti, avvalersi dell’aiuto di un supervisore e impegnarsi in una psicoterapia personale sono metodi utili ad aumentare le capacità del terapeuta di gestire in modo adeguato i vissuti del paziente e le proprie reazioni.
Le evidenze empiriche e l’esperienza clinica suggeriscono che la terapia efficace per i pazienti con DBP comprende anche la capacità di favorire la funzione riflessiva piuttosto che la tendenza all’azione impulsiva. Pertanto, i terapeuti dovrebbero incoraggiare il paziente ad impegnarsi in un processo di auto-osservazione per stimolare una maggiore comprensione di come i comportamenti derivino dal rapido cambiamento dei suoi stati affettivi e dall’instabilità e precarietà delle sue relazioni. Inoltre, la psicoterapia implica la capacità di aiutare i pazienti a riflettere sulle conseguenze delle loro azioni, cosicchè le loro capacità di critica e di giudizio possano migliorare. Uno dei principi dell’IPT è che gli eventi interpersonali influenzino la vita emotiva e il tono dell’umore e viceversa, ovvero che il tono dell’umore e le reazioni emotive influenzino gli eventi e i legami interpersonali. Un lavoro psicoterapico inteso a migliorare la qualità delle relazioni e, nel paziente borderline, a renderle più stabili e coerenti può quindi avere effetti importanti nella regolazione degli affetti e nel controllo dell’impulsività.
Per quanto riguarda la durata del trattamento, alcuni studi suggeriscono che possono avvenire miglioramenti significativi dopo un anno di intervento psicoterapeutico. In questa prospettiva, è importante che il terapeuta instauri una solida alleanza terapeutica con il paziente, attraverso un’attenta individuazione degli obiettivi specifici per il trattamento, decidendo insieme al paziente quali siano le mete ragionevoli e raggiungibili. In ogni caso, la psicoterapia interpersonale per il paziente con DBP è una terapia limitata nel tempo. La durata del trattamento, viene stabilita dallo psicoterapeuta interpersonale all’inizio della terapia e solitamente viene compresa tra le 30 e le 40 sedute con frequenza settimanale. Il consolidamento dell’alleanza terapeutica è facilitato dalla delimitazione di precisi confini sia interni che esterni al trattamento.
L’adattamento dell’IPT ai disturbi di personalità è incominciato nel corso degli anni novanta e ha assunto la forma di un modello ben definito con la proposta formulata da John Markowitz intorno al 2005. Il lavoro di revisione della psicoterapia interpersonale per l’adattamento al DBP si è concentrato su: 1) una ridefinizione del concetto di disturbo di personalità; 2) la stabilità nel tempo di questo disturbo; 3) la difficoltà nella costruzione e nel mantenimento dell’alleanza terapeutica; 4) la durata della terapia; 5) il rischio suicidiario e 6) la conclusione dell’intervento.
In un primo momento è stato proposto un focus specifico per il trattamento del DBP, da aggiungere ai quattro tradizionalmente utilizzati nell’IPT: il focus sull’immagine di Sé, ma questa proposta non è stata ulteriormente sviluppata. E’ stato inoltre osservato che una fonte di stress interpersonale nei pazienti con DBP può essere identificata nella presenza di un senso di sé incerto e fluttuante. Recentemente è stato proposto da Anthony Bateman (2012) un focus sul senso di Sé, che è ritenuto un’integrazione essenziale del modello classico per il trattamento del disturbo borderline di personalità con la psicoterapia interpersonale. Questo focus, su cui dovrebbe primariamente concentrarsi il lavoro psicoterapeutico, si riferisce alla regolazione del Sé nelle relazioni interpersonali. E’ un area problematica che può essere considerata determinante poiché i disturbi di personalità sono stati descritti fondamentalmente come distorsioni nella percezione del senso del Sé (Skodol, 2011). Lo scopo della psicoterapia interpersonale in questi casi dovrebbe essere quello di favorire la strutturazione di un senso del Sé più robusto attraverso una disamina delle relazioni interpersonali intercorse tra una seduta e l’altra e in riferimento alle relazioni significative degli ultimi 2 anni.
L’attenzione al setting e all’alleanza terapeutica è una componente di base delle psicoterapie. All’inizio del trattamento il ruolo di esperto attribuito al terapeuta è complementare a quello del paziente, la diagnosi viene discussa apertamente, e gli obiettivi vengono condivisi. Durante il trattamento la relazione terapeutica deve essere caratterizzata da un atteggiamento empatico, ottimista e incoraggiante da parte del clinico. E’ molto importante che venga garantita la disponibilità a discutere e riparare le rotture all’interno del rapporto terapeutico. L’alleanza terapeutica è uno strumento che viene utilizzato in modo esplicito durante la psicoterapia interpersonale per affrontare tutte le situazioni di difficoltà che il paziente incontra a mantenere il setting. La comprensione psicodinamica della relazione terapeutica non viene esplicitata in terapia, ma è analizzata e tenuta in considerazione dal terapeuta, che si occupa di offrire una visione realistica e attuale del proprio ruolo al paziente. In ogni caso, la relazione terapeutica deve essere gestita dal terapeuta con attenzione alla sensibilità comunicativa del paziente.
I comportamenti suicidiari e autolesionistici nella psicoterapia interpersonale sono affrontati attraverso due tipi di intervento. I servizi di psichiatria generale si occupano della gestione in acuto di questi comportamenti, mentre nelle sedute di psicoterapia vengono discussi i significati interpersonali e le implicazioni affettive dei gesti suicidiari e dei comportamenti autolesionistici. I pazienti solitamente hanno la possibilità di telefonare una volta alla settimana al terapeuta per discutere pensieri e emozioni relativi a condotte impulsive e a gesti autodistruttivi. Per limitare l’interferenza di questa telefonata con il processo terapeutico, la durata è limitata a 10 minuti. Al di fuori di questa possibilità, i pazienti non possono telefonare dopo una condotta autolesionistica perché la gestione della crisi è demandata al servizio psichiatrico generale.
Quando si approssima la fine della terapia devono essere discussi e valorizzati i progressi compiuti, con particolare attenzione ai cambiamenti intervenuti nel controllo dei passaggi all’atto e nella definizione del senso di Sé nelle relazioni interpersonali. Infatti, quando il paziente riesce a possedere un senso di Sé più consistente, può migliorare la propria indipendenza e la gestione autonoma dei propri stati emotivi all’interno delle relazioni interpersonali.
Nonostante le ricerche empiriche siano ancora ad uno stato iniziale, le evidenze di cui disponiamo indicano che la psicoterapia interpersonale adattata può rappresentare un utile contributo al trattamento del disturbo borderline di personalità.
Riferimenti bibliografici
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